VIGLIA’           (scritto da Silvano Baroni)

        (l’edicolante colto)

Viglià per i butesi, William Landi per l’anagrafe, fratello per mia moglie e Nimo per i suoi scritti.

           Da bimbetto Viglià si distingueva dai suoi compagni di scuola per il suo precoce intelletto, tant’è vero che terminata la prima Elementare, lo passarono in terza, facendogli saltare la seconda e come amici, fin da ragazzo, preferì quelli più grandi di lui.

          Poi, il destino gli giocò un brutto tiro, aveva   dodici anni, quando un incidente lo bollò per tutta la vita: mentre stava aspettando, insieme a tanti altri ragazzi, il Cappellano per andare a fare una gita a Santa Colomba, stufatosi di aspettare il prete fuori la Canonica, si mise a fare i giri in bicicletta intorno la Chiesa e cadde, facendosi male in fondo alla spina dorsale e ad un’anca.  Andò ugualmente a far quella gita, con sofferenza, ma non disse niente a nessuno.  La notte non dormì mai dal dolore, ma stette cheto e nei giorni successivi, fece tutto quello che faceva sempre, senza lamentarsi mai.

           Dopo una diecina di giorni però, quei dolori divennero così insopportabili, che fu costretto a dirlo a sua madre, che subito chiamò il dottore; questi, dopo una breve visita, lo fece ricoverare in Ortopedia, al Santa Chiara di Pisa.  

            

    Per il povero Viglià, cominciò il calvario degli Ospedali: tre volte in quello di Pisa, due volte al Cinquale di Massa Carrara, un’altra a quello di Viareggio e un’altra ancora all’Ospedale dell’Ardenza a Livorno. 

           Ma ogni volta il risultato fu grossomodo il medesimo: ritornare a casa ingessato. Poi, quell’alternarsi di miglioramenti e ricadute fu una storia lunga e dolorosa che durò diversi anni, e contribuì a fargli   perdere completamente la fiducia nei dottori, nei professori e negli Ospedali.

 Col tempo fece il “callo” anche ai dolori più forti, che riusciva ad attenuare con qualche espediente. Un giorno, mentre stavo al suo capezzale, lo vidi assai sofferente e gli domandai se avvertiva dei dolori, mi rispose che li avvertiva forti in fondo alla spina dorsale, ma che si stava concentrando su un doloretto che si procurava alle dita d’una mano, stringendosele forte, per distrarsi dal dolore che sentiva dietro.        

           Quando infine, ritornò a casa definitivamente, tanti dolori non li avvertì più e si dedicò, con discreta tranquillità, ai suoi passatempi preferiti: il leggere e lo scrivere. Imparò a suonare il mandolino e la fisarmonica, e con le sue sorelle passava delle buone mezz’ore a suonare e a canterellare le canzoni in voga in quei tempi.    Cominciarono ad andarlo a trovare i suoi compagni di scuola, con i quali giocava a carte, a dama ed anche a scacchi; questo gioco però, preferiva disputarlo col suo amico Avrilio!  Con quest’ultimo prese molta familiarità e si confidava con lui su tutto: era l’unico ch’ era andato a trovarlo anche negli ospedali più lontani da Buti, e quando ritornava a casa dall’ospedale, era quello che lo andava a trovare ogni sera per saper come stava e come aveva passato la giornata, aggiornandolo su tutto quel che succedeva fuori dalle sue quattro mura di casa; insomma era un amico insostituibile.  Poi Viglià, si appassionò anche alla radiofonia, e questa tecnica lo coinvolse talmente che s’ iscrisse subito alla scuola Elettra di Milano. E tramite le dispense mensili che gli inviava quella scuola, William apprese rapidamente i complicati meccanismi del funzionamento della radio, e divenne così esperto che riuscì a costruirsi una radiolina portatile, con dei semplici oggetti che si faceva procurare dai suoi compagni di scuola, felici di poterci poi ascoltare le partite di calcio e le cronache sul Giro d’Italia.                                                 

  Grazie a quella radiolina, Viglià passò tantissime ore ad ascoltare le canzonette, le commedie, le conversazioni anche notturne, e i dialoghi letterari.                      

        Suo padre poi, tanto per farlo uscir di casa, gli fece costruire nel 45 una piccola edicola in piazza Garibaldi; all’inizio fu restio ad entrarci, gli pareva piccola, ma quando constatò che ci si destreggiava assai bene, si affezionò talmente a quel chiosco, che ci avrebbe preso anche il domicilio.

       Quando nel poi 59, gli arrivò dal Comune il decreto di demolizione (per dar mano alla copertura del Rio Magno) si rattristò talmente che per diversi giorni non volle più uscir di casa, però l’Amministrazione Comunale gli concesse l’autorizzazione a costruirne un altro, sopra il Rio dei Ceci, più capiente e con una licenza di vendita più cospicua dell’altro.

         La maggiore capienza  del locale, contribuì  anche ad accrescere  il numero degli amici che ogni giorno lo andavano a trovare per scambiare quattro chiacchiere e in quell’edicola entrarono anche illustri personaggi nel campo letterario : dal prof. Dino Buzzati, l’autore del famoso romanzo  “Deserto dei tartari”, al prof. Bruno Fattori,  per non dire del professor Giannessi, docente universitario di Lettere alla Bocconi di Milano,  ch’era solito dire  di star più volentieri  nel chiosco di Viglià a parlar con lui, che in casa sua (la casa estiva del professore era sita a poche decine di metri dal chiosco di Viglià .  In quell’edicola, Viglià) – In quell’edicola, Viglià,  nei momenti di quiete,  scrisse tante cose in dialetto butesi :  racconti e storielle paesane, (spesso riportate  sul periodico butese “IL PAESE”), detti e soprannomi butesi, e pure un libro  scrisse, dal titolo  “Un vestito di cotone stampato”; risolse un’infinità di giochetti e di rebus  nelle Enigmistiche, che spesso i suoi compagni gli portavano per metterlo alla prova, e non ci fu mai un rompicapo così difficile che Viglià  non  riuscisse  a risolvere .

            Viglià era una persona semplice, alla mano, arguto e pronto alla battuta, mai offensivo, e trovava divertimento in tante piccole cose; tanto per dirne un paio: di versarsi il caffè nella tazzina, fino all’orlo per far dire ai presenti:

 “Questa volta lo versi!”  oppure quella di fumare fino in fondo la sigaretta, fino a farla svanire completamente tra le dita.  

           Col tempo, quella inesorabile deformazione delle ossa, lo portò quasi all’infermità: si piegò talmente in avanti, che non riusciva più nemmeno a porgere il giornale, dal finestrino dell’edicola.

              Allora, una sua sorella lo convinse ad andare a passare una visita a Viareggio, da un noto professore che dicevano fosse un “luminare” in quel campo.     

              E Viglià   accettò.

              Quando si trovò davanti a quel professore, e questo, nel vederlo in quello stato, gli chiese: “Ma chi è stato quel macellaio che l’ha ridotta così?”  Viglià, gli rispose: - “Lei signor Professore, perché io sono sempre stato ricoverato nelle Cliniche Ortopediche dove lei era il Primario”.  Al che, il Professore si accigliò, e rivoltosi alla sua infermiera (una tedesca che poi sposò) le disse: Può essere?”  E lei, sottovoce gli rispose che quel paziente l’aveva riconosciuto subito, appena era entrato in ambulatorio, per averlo visto più volte ricoverato nelle sue cliniche. Allora il professore si avvicinò a William e gli sussurrò all’orecchio: “Quando lo desidera, egregio signore, venga pure, nella mia clinica RIZZOLI a Bologna, vedrà che qualche cosa di buono le faremo”.

                La settimana dopo Viglià, sua sorella e il sottoscritto eravamo lassù al Rizzoli.

               Lo operarono con successo: gli aggiustarono gli ultimi anelli della colonna dorsale, gli misero due protesi alle anche, lo psicologo lo tirò su di morale, insomma, ritornò a casa che pareva un altro. Per una quindicina d’anni e forse più, stette bene, sempre però, aiutato dalle sue inseparabili stampelle in metallo.       

                In quel periodo fu felice: gli piaceva camminare, faceva certi passi lunghi che sorprendeva tutti, specialmente chi l’aveva   sempre visto far due passi in un mattone.   Veniva in Castello passando dalla grotta con gli scalini, senza farsi aiutare da nessuno, faceva tutto da sé, ogni passo uno scalino.    Incredibile! 

Ed anche lo stare dentro il chiosco, a vendere i giornali, non gli piacque più, stava fuori dall’edicola, che divenne così il primo SELF-SERVICE della zona: chiunque, poteva entrare nel chiosco, prendere quel che voleva, pagare Viglià, che se ne stava fuori all’aria aperta, magari appoggiato ad un cofano di macchina, e andarsene.    Tanti, addirittura entravano nel chiosco, prendevano quel che volevano, mettevano i soldi nel cassetto, e, se era necessario, si facevano il resto da soli, poi se ne andavano, naturalmente dopo avere avvertito Viglià.             

 

William  Landi

 

nacque a Buti il 17.3. 1925,

e morì a PISA, il 27. 9. 1996.

I suoi racconti sono in dialetto Butese.

***

Ma chi è che ti vor bene come tu mà

Butese in prova

Un vestito di cotone stampato

Modi di dire

Una Storia

Uomini

 

Questo vuole essere un tributo a William Landi, butese doc che ho avuto l’onore di avere come zio acquistato.

 Chi fra i butesi l’ha conosciuto, e siamo fortunatamente in tanti, ha saputo apprezzare le sue innumerevoli doti di persona colta, amico di tutti, sempre pronto alla battuta arguta e al dibattito costruttivo su qualsiasi argomento.

Amante e gran conoscitore di Buti, pur non avendo potuto per problemi fisici girare molto per il paese, ne conosceva appieno sia i luoghi che le persone che lo abitavano, ricercando e studiando nel tempo ogni modo di dire, di giocare, di chiamarsi in questo antico borgo.

 Mentre dal suo chiosco vendeva riviste, quotidiani e figurine di calciatori, nei suoi quaderni appuntava a mano ogni particolare che lo incuriosiva. Dalla mia suocera Ilelda, sorella di William, ho ritrovato alcuni di questi scritti, che vi ripropongo in copia anastatica, su soprannomi, giochi, stornelli, filastrocche butesi che tanti fra noi ricorderanno, alcuni di essi già pubblicati nel periodico “Il Paese” e che ci faranno sorridere e tornare indietro nel tempo.

  La biografia di William che leggerete, è quella scritta da mio suocero Silvano Baroni in uno dei suoi “Racconti butesi” che tutti noi abbiamo potuto apprezzare in una recente edizione.

                                                      Antonio Batisti