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In un mondo frenetico, competitivo, ossessionato dal culto dell’immagine è importante riscoprire attraverso le poesie di Leopoldo Baroni il piacere di una diversa qualità della vita.
Uomo d’orti , le viottole, senza affanno…alcune brevi frasi, quasi degli aforismi che sintetizzano con efficacia un aspetto significativo dell’opera poetica di Leopoldo Baroni, (Buti 1995-1963) uno dei meno conosciuti (poi diremo perché) ma dei più ragguardevoli esponenti dell’ermetismo, medaglia d’oro al Premio Viareggio 1960. Nel libro Il soldato di Lambessa(1956),Franco Antonicelli narra di essersi recato a Buti, per conoscere il Baroni. Arrivando ammira anzitutto il paesaggio: “Dall’alto scende un’aria freschissima che mette fra i pini e gli olivi un leggero e perpetuo fremito ma la cosa meravigliosa è la copertura fitta di olivi su questi dossi: non c’è è un vuoto in mezzo ai boschi” E il centro storico gli appare caratterizzato da una “nobiltà dell’antico, quel garbo toscano che si rivela in ogni edificio.” Altrettanto ricco d’interesse l’incontro con Leopoldo Baroni, descritto come un uomo che “da quarant’anni contabile in Municipio, alza il capo fra le cifre per cogliere una luce, un respiro e fissarli in versi meditati e lavorati”. Scriveva su riviste prestigiose come La Riviera ligure. ma viveva appartato, tanto che anche Montale e Viani erano andati a Buti per conoscerlo. Dopo aver parlato dell’incontro con Arcangelo, un contadino novantenne che cantava le ottave dell’Ariosto e del Tasso, lo scrittore torinese ricorda con affetto e un po’ di malinconia l’orto di Leopoldo Baroni (un orto famoso- sottolinea- per essere stato narrato addirittura da Eugenio Montale) e rileva: “ha piante di violette di pensiero, gerani, mughetti e rose. In mezzo a questo –conclude- e con i suoi pensieri egli vive alla poventa ovvero al riparo dei venti (la parola è tratta proprio da una poesia del Baroni) l’aria che gli giunge dagli ulivi è come egli direbbe, solativa, parola fragrante” perché indica il sole ma anche la solitudine del poeta.29 Non a caso il suo definirsi “uomo d’orti” esprime il valore di un piccolo grande mondo, la cura assidua, il piacere di vedere germogliare fiori e frutti. L’amore per la natura e, quindi, per la campagna lo esprime già nella sua prima di raccolta di poesie, intitolato non a caso Le viottole, quei sentieri che attraversano i campi, che salgono in collina fra gli ulivi che il poeta amava percorrere nelle sue passeggiate ma anche in senso metaforico: le peregrinazioni dell’ esistenza. E qui si giunge all’auspicio di una vita senza affanno. Non desidera né ricchezze né onori. Ma Tirarmi su quando l’ala Della sera passa e spenge la piana, e rincasare Senza noia, senz’affanno.
Tuttavia, talora, come ne La vita che non ebbi, sogna di andare con sett’otto capre, un cane, bisaccia a tracolla e via, via fra i sassi. Oggi a valle, domani a monte. Mangiar pane di mistura E da bere acqua di fonte E fare coi merli e col vento svagato delle solitudini a chi fischia meglio
Ma forse è solo una divagazione poetica. Perché Baroni amava la vita paesana. Nel suo saggio I Maggi (prefazione di Eugenio Montale) racconta di quando a sera le persone rientravano dai campi o dalle fabbriche e le vie le due piazze del Centro storico di Buti si animavano. Non era iniziata ancora l’era dell’auto e del telefono (in pratica c’erano solo i telefoni di servizio (Comune, Carabinieri, medici). La gente si ritrovava, ci si fermava a parlare di questioni personali o della vita locale, si formavano capannelli fino all’ora di cena. Dopo cena, spesso gli uomini andavano al bar (si preferiva dire al caffè) per giocare a carte. Scopa, briscola,tressette per un paio d’ore in allegria con gli amici. Ed è esemplare come Leopoldo Baroni nel suo libro I Maggi (Pisa 1954 con la prefazione di Eugenio Montale) descrive i ritmi di quella vita semplice e schietta del suo tempo, con la quale pare identificarsi :
“da quando abbuia novembre e sino a febbraio, è riserbato al paese, specie in alcune ore del giorno, un aspetto di tristezza. Sfocata, la luce del cielo dona alle case, ai cortili, agli orti tempo remoto. I pomeriggi somigliano allora a lunghi crepuscoli. Piazzette e strade, poiché gli operai e i contadini sono al lavoro tacciono, quasi smemorate di passi. Certe volte, il suono delle ore deserte, cadendo dall’alto della torre campanaria sui tegoli e sul selciato delle vie crea, entro il golfo d’ulivi, ove il paese ancorato al suo tedio finge un dormiveglia, rapidissime arcate di suoni.”
Ma, poi
La campana delle ventitré (d’inverno le ore sedici o poco dopo), è per il lavoratore agricolo il segnale che la sua fatica giornaliera è giunta alla fine. Da quel momento il paese si anima. A chi rientra dalla campagna si uniscono gli operai, per lo più giovani che escono dai lavoratori artigianali e la Via di mezzo diviene un “formicaio” di giovinotti e ragazze.
Tra l’altro, il documentario Rai Storia di Paese che era uno dei programmi sperimentali realizzato nel 1953 e poi trasmesso nel 1955 mostra Leopoldo Baroni che, insieme ad alcuni amici gioca a carte in un caratteristico bar della Piazza centrale di Buti in un’atmosfera cordiale, rilassata. Senza affanno. Una vita semplice e schietta . E il poeta s’ identifica soprattutto con il suo quartiere, quello di Castello, la parte più antica di Buti che sovrasta il centro storico come una balconata che a ridosso del Castello vero e proprio (recentemente restaurato) mantiene ancora strade ed edifici che riportano all’antica atmosfera medievale così come la Chiesa di S.Rocco. Per lui Castello,l a sua casa, il suo orto sono una sorta di “nicchia ecologica”.
Di questa siepe anch’io pruno
Per cogliere meglio la poetica del Baroni merita descrivere l’ambiente in cui viveva e con il quale era in simbiosi. Il quartiere di Castello, una delle parti più antiche di Buti è un’ampia rocca dai versanti scoscesi che ne sovrasta il centro storico come una balconata. sulla Piazza Garibaldi e vi si accede al termine di una lunga scalinata Come ha rilevato Rossano Rossi , in origine c’era solo una torre d’avvistamento sul lato nord. Quando, vi furono costruite attorno le prime case, furono innalzate delle mura, torri e il Castello vero e proprio recentemente restaurato. Il borgo, che si sviluppa alle spalle del castello vero e proprio (che era sede della guarnigione di Pisa e poi di Firenze) mantiene ancora strade ed edifici che riportano all’antica atmosfera medievale e la Chiesa di S.Rocco .Un tipico borgo incastellato. Appartato ma non separato perché in pochi minuti si era nel centro di Buti. ci si sentiva e si era parte integrante di questa comunità. Gabriele Parenti
Nota. Oltre che per la sua opera poetica, Leopoldo Baroni deve essere ricordato per l’ appassionata valorizzazione del patrimonio culturale butese: In specie, con il libro I maggi e le raccolte di poesie Parnaso popolare butese (1929) e il l Nuovo parnaso popolare butese (1959). Il Parnaso del 1929 è stato pubblicato in ristampa anastatica nel 1992 dal Centro Studi Natale Caturegli. ——
F.Antonicelli Alla poventa ne Il soldato di Lambessa Roma ERI 1956, racconto tratto da una trasmissione radio. Ibidem. V. anche Terra di poesia. Il butese Leopoldo Baroni ricordato da Franco Antonicelli hhttp://www.montipisani.com/index.php/comuni-e-paesi-dei-monti-pisani/buti/12-storia/33
R.Rossi, Castel Tonini racconta, Storie,fatti,genealogie, Bientina,2004 e dello stesso autore La Chiesa di S.Rocco in Castel Tonini, Bientina 2008.
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