S. ANTONIO  ABATE (eremita - festeggiato il 17 gennaio).
Nato a Menfi, (o a Coma) ca 251; morto a Monte Coltzum, 356).


Sant'Antonio è considerato il fondatore del monachesimo nel senso tardo della parola, perché riunì gli eremiti in comunità, anche se abbastanza libere da
vincoli e regole, ed esercitò su di essi una certa autorità; ma lui personalmente passò la maggior parte della sua lunga vita in solitudine o quasi. All'età di circa vent'anni andò a vivere solo in varie località vicine al suo luogo di nascita nel basso Egitto, passando il suo tempo in preghiera, studio e nel lavoro materiale necessario per procurarsi da vivere. Subì violente tentazioni spirituali e fisiche, ma le superò;  in seguito un gran numero di discepoli si raccolse intorno a lui. Intorno al 312 si allontanò di più dal suo luogo natale e prese residenza in una grotta sul monte Coltzum, vicino all'estremità nord-occidentale del mar Rosso; rimase lì per tutto il resto della sua vita. Persone di tutti i generi andarono a cercarlo per chiedergli consiglio o semplicemente per curiosità e di tanto in tanto lui faceva visita ai suoi seguaci nei loro eremitaggi; verso la fine della sua vita andò ad Alessandria per incoraggiare l'opposizione all'arianesimo. Se la data tradizionale è giusta, aveva più di cent'anni quando morì. Si sa moltissimo di sant'Antonio perché è sopravvissuta una biografia scritta da S. Atanasio. I monaci del deserto erano non di rado caratterizzati da stravaganza e fanatismo; non così Antonio. Lui era notevolmente moderato per la sua epoca, uomo di grande saggezza spirituale la cui notevole austerità di vita era sempre consapevolmente finalizzata ad un miglior servizio di Dio. Sia durante la sua vita che  dopo la sua morte la sua influenza fu molto grande e la venerazione per lui, talvolta per ragioni puramente estrinseche, fu forte in tutta la cristianità sia antica che medioevale. I "Padri del deserto" di cui sant'Antonio è il classico rappresentante vivevano in luoghi più o meno remoti in casupole, grotte o edifici abbandonati, cercando Dio attraverso l'autodisciplina intellettuale e fisica in una vita di preghiera e di meditazione, di austerità e di lavoro manuale. Quest'ultimo elemento era dato dalla necessità di procurarsi un minimo indispensabile di cibo, indumenti e rifugio e da occupazioni come la fabbricazione di cesti e stuoie con foglie di palma. Molti scrittori e pittori hanno avuto la tendenza a insistere sugli eccessi della loro vita fatta di sfrenata automortificazione fine a se stessa, digiuno competitivo e "un'orgia di soprannaturale", ma nella sua forma migliore essa era capace di produrre, e lo fece, carattere di integrità e saggezza impressionanti, una delle cui caratteristiche era la penetrante comprensione della psicologia umana e la capacità di esprimerla con parole efficaci. Gli emblemi di sant'Antonio nell'arte sono un maiale e una campanella. Secondo la leggenda la sua tomba sarebbe stata scoperta nel 565 e il suo corpo trasportato ad Alessandria e quindi a Costantinopoli, da dove le reliquie sarebbero passate in Francia, dapprima a Saint Didier e poi nel 1491 a Saint Julien presso Arles. Nel corso dei secoli alcune reliquie del santo sono state sparse in tutta l'Europa.
Nel Gennaio 1988, S.E. Alessandro Plotti Arcivescovo di Pisa ha fatto dono di una di esse alla parrocchia di Buti a testimonianza del culto secolare che il popolo di Buti tributa a S. Antonio Abate.

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