* Storia di Buti *

  di Enrico Valdiserra, storico Butese.

"Berengario ed Adalberto Re, nell'anno decimo del loro Regno, la terza nona di luglio, indizione terza”

Grimaldo.  Vescovo della Chiesa Pisana, cede a titolo di livello a Giovanni detto Belizio, figlio del fu Cuntibelto, tutte le case ed i beni appartenenti alla Chiesa Pievania dedicata a San Torpè, San Sebastiano e San Giovanni Battista che è Pieve con Fonte Battesimale posta nel luogo e nei confini di Buyti (Buti).

Gli cede anche tutti i redditi e tutti gli obblighi ad essa dovuti da ogni persona che abita in quei villaggi chiamati Buyti (Buti), Cintoia, Aguliana (Gavigli), Aiabarbatuli, Conferneti (Farneti), Panicale, Lereti. (Oreti o Solaio) o abitanti altrove, singolarmente ed ogni anno, come di consueto, ciò che devono in lavoro, vino, bestie o qualsiasi frutto della terra e di qualsiasi cosa mobile.

Per ogni singolo anno, tutti i mesi di febbraio, si debba pagare per la soprascritta popolazione (la somma di) soldi d'argento Otto e dodici denari per ogni debito trattato.

Risponde Giovanni e Betta sua moglie con tutti i loro eredi e proeredi sotto pena di trecento soldi d'argento.

Fatto in Pisa.  Sottoscritto di propria mano da Giovanni".

(Seguono le firme dei testimoni, dei Giudici e del Notaio).

Con questo documento che risale a più di mille anni orsono, e precisamente al mese di Luglio dell'anno 960, il Vescovo di Pisa concedendo a Giovanni detto Belizio (di chiara stirpe longobarda) il possesso a titolo di livello di tutti i beni e redditi della Chiesa di Buti ne fa praticamente un feudatario e, probabilmente, il capostipite dei "da Butí".  Leggendone il testo si nota che già in tale epoca il paese aveva una fisionomia ben definita con il centro (Butí) gravitante attorno alla Chiesa Pievania e le frazioni ben consolidate nella vallata.  Si vede pure che Buti aveva già una certa importanza in quanto la sua Chiesa era "Pieve Battesimale" il che significa che ad essa erano soggette Chiese di altri paesi di minore importanza.

Si nota anche che il prodotto più pregiato era il vino la cui coltivazione doveva essere estesa sul fondo valle da Buti a Badia, come a tutt'oggi testimonia il vecchio nome di "Via delle Vigne".  Non vi si accenna invece alle coltivazioni dell'olivo e del castagno indicati genericamente come "qualsiasi prodotto della terra".

Da una notizia pubblicata nel libro "La Badia di San Salvatore del

Lago di Sesto" di Giuseppe Caciaglí (Ed Bandecchi e Vivaldi Pontedera 1984) si viene a conoscere    che già nell'anno 679 due ricchi mercanti di Lucca che venivano a Buti e Cintoía per acquistare il pregiato olio che vi si produceva, erano stati assaliti e derubati dalle masnade di Delfio da Castelvecchio nei pressi dell'odierno "Tanali".  Questo fatto ci dà un'idea sulla veneranda età di Buti poiché la coltivazione dell'olivo, per giungere a forti livelli di produzione e portare a gran fama l'olio prodotto, necessita di secoli e secoli di duro ed operoso lavoro.

Ma quanti secoli ha Buti?  Fino a non molti anni fa si riteneva fosse un borgo medievale sorto a difesa dei confini della Repubblica Pisana, si ignorava che nella vallata, sparsi tra i boschi, i castagneti e gli oliveti esistono resti di costruzioni "senza tempo" come i Magnoli, Panicale Alto, l'ascensione, Sant'Agata ecc.

Nessuno ha mai preso in seria considerazione le monete romane ritrovate nel paese nel corso dei secoli (buon ultime quelle rinvenute tra la chiesa- ed il Comune non molti anni fa).  Eppure I"'Anonimo Butese" nella sua "Storia di Buti" (E.Valdiserra "Memorie di Butí" Giardini Editori - Pisa 1976) racconta che al suo tempo (prima metà del 1800) i fabbri del paese si servivano di monete romane d'argento per fare lavori di saldatura.

In effetti nel paese non abbiamo tracce visibili di antiche costruzioni, tutto sembra sorto dopo il medioevo, però dobbiamo pensare che Buti è stato distrutto completamente, bruciato e ricostruito più volte durante le violente guerre fratricide prima tra Pisa e Lucca poi da quelle ancor più devastatrici portate dai fiorentini.

Se si osserva il paese più attentamente possiamo trovare inserite nelle case antiche pietre scolpite, vecchie tracce di portali e mille altre tracce di un remoto passato.

Le più vistose sono rintracciabili nelle pietre scolpite che sono state usate per l'architrave della porta di ingresso alla Chiesa di Santa Maria di Panicale, a quella del suo "coro", alla pietra con la scritta "ARA CERASI" inserita nella facciata della diruta chiesa di San Michele Arcangelo in Castel di Nocco ed in altre sparse in Farneti e San Giorgio.  Sono resti di Templi pagani?

Ma veniamo ora ai butesi, come si sono formati, alle loro usanze, al loro lavoro.

Buti sotto la Repubblica Pisana era un centro attivissimo tanto da essere

definito "il ricco Buti".  Il prodotto principale era l'olio esportato in tutta la Toscana, vi era poi la lavorazione del castagno sia come prodotto alimentare (castagne e farina) sia come quella artigianale della lavorazione del suo legname per farne travi, mobili, ceste e corbelli.  C'era una buona pastorizia sia stabile che di "transumanza".  Inoltre la produzione di olio e farina di castagne aveva portato 'a creare una fitta rete di frantoi e mulini che "giravano" le loro ruote grazie alle acque del Rio Magno convogliate da una fitta rete di "gore" che da Panicale arrivavano a "Le Cascine".

C'era anche una piccola industria estrattiva data dalle cave di ardesia delle pendici orientali del Monte Aspro (Le Piastraie) da dove le lastre, semilavorate, venivano scese allo scomparso porticciolo di San Marco "in Poggiali" (o "sub Montem" o "alle buche") villaggio di pescatori e 9<navigatori di piastre da tetti" che sorgeva sulla ri@a del Lago di Sesto nei pressi dell'odierno "Caccialupi" (D.Herlíhy "Pisa nel duecento" Ed. Nistri e Lischi - Pisa 1973) da dove, attraverso le acque del Lago, quelle del Serezza (allora affluente dell'Arno) e dell'Arno stesso, venivano trasportate a Pisa.

Altro piccolo raccolto era quello della mortella (mirto) che veniva inviata a Pisa dove era usata come tannino per la concia delle pelli.  Questo mondo ebbe fine con la definitiva conquista fiorentina.  Il paese era pressoché scomparso, i suoi abitanti erano ridotti a poco più di novecento, i terreni rimanevano incolti.

Ma c'erano quei pastori di "transumanza" che fin dalla preistoria avevano fatto spola tra l'Appennino Tosco-Emiliano ed il Monte Pisano.  Questa gente aveva conosciuto Buti nel suo splendore, ne aveva vissuto la storia ed ora ne raccontava le memorie ai propri conterranei ed ecco che già nel 1500 arrivano i primi immigrati, erano boscaioli del Frignano e della Garfagnana che giunti a Buti si trasformavano in agricoltori, segantini, muratori.  Dai "Registri Parrocchiali" si possono indiviaduare i loro paesi di origine che erano: Frassinoro, Pavullo, Sassalbo, Cutigliano, Fiumalbo e Pian dè Lagotti nel modenese, Careggine, Molazzana, Coreglía, Corsanigo, Vagli e Vergemoli nel garfagnino.  Addirittura troviamo "fabbri" che provenivano "dal Tirolo", dal "Lago Maggiore Milanese", da "Ascona dei Tredici Cantoni".

Con queste nuove forze Buti poco a poco si rigenerò, avendo però la fortuna di conservare il proprio dialetto in quanto lo spazio di tempo nel quale queste popolazioni giunsero a Buti é esteso per trecento anni: dal 1500 alla prima metà del 1800.  Per cui assimilarono perfettamente la mentalità, le usanze ed il linguaggio dei Butesi.

Sotto il Granducato di Toscana, oltre alla lavorazione ed al commercio dell'olio, venne incoraggiata anche la lavorazione del legname di castagno ed in particolare la produzione di ceste e corbelli.

Con esse si sviluppò in Buti il mestiere del "barrocciaio" uomini rudi che con i loro "barrocci" carichi di ceste di damigiane, "vesti" da fiaschi e barili di olio percorrevano in lunghe file le strade granducali per Empoli, Livorno, Lucca e Firenze stesso.

Arriviamo ora al 1800 che è stato il secolo d'oro di Buti.

Il paese era risorto ed aveva raggiunto una popolazione di quasi 4.000 abitanti (da considerare che "Le Cascine" era allora una frazioncina di poche persone accentrate su "I Becucci", "I Lombardi" e "La Ciona"). In esso erano nate le "Fattorie" padronali dove erano raccolti e commerciati i prodotti agricoli.  Si era formata una casta di mugnai e frantoiani che lavoravano anche per i paesi viciniori.

Dai piccoli produttori artigianali di ceste e corbelli erano nate industrie familiari e Cooperative di produzione (e queste erano anche di consumo in quanto avevano aperto propri spacci di vendita per gli operai che pagavano con "moneta" propria fatta ad uso interno e che li obbligava a fare le loro spese solo nello spaccio cooperativo ... ).

Nel paese erano sorte diverse "fiaschetterie" ritrovo dei barrocciai e dei corbellai dove (in particolare al lunedì, giorno di mezzo lavoro per i cestai che in questo giorno preparavano "solamente" il lavoro per tutta la settimana) si riunivano per parlare di affari, raccontarsi le "avventure di viaggio" e giocarsi "il fiasco".  Le più famose sono state: "da Baricolo (Caffè Trattoria XX Settembre), "da Pellegrino'', "da Lisse", "da Ernesto" e "da Pinchino" questa ultima tuttora attiva.  Nel milleottocento anche la cultura Butese a livello popolare era molto sviluppata, i suoi poeti con i loro "Maggi" avevano portato a conoscenza del popolo fatti storici e mitologici dell'antichità.  La popolazione era pronta a recepire cose maggiori ed ecco nascere “I’Accademía dei Riuniti” che costruisce il Teatro dedicato a "Francesco di Bartolo" inaugurato con l'Opera.  "L'elisir d'amore" di Donizetti. Accanto alla vecchissima "Arciconfraternita di Misericordia" o "Compagnia de Neri" superstite delle tre "Compagnie" medievali Butesi di cui la "Compagnia dè Bianchi" (o del SS. Sacramento) e quella "de Turchini" (o dei SS jacopo e Fílippo) ormai scomparse, sorsero "La Pubblica Assistenza", "La Società Filarmonica" e altre piccole società sportive e culturali tra le quali vogliamo ricordare il Circolo "Fra noi" che in tempi in cui non esisteva la radio divulgava a Buti le canzoni nuove essendo in diretto contatto con l'Editrice "Piedigrotta" di Napoli. Un ritratto di questo Buti si ha visitando la mostra "Documenti e immagini di vita paesana" dalla quale si ha una visione di un passato ancora vivo di un paese che ha saputo conservare la propria anima ed una vitalità giunta fino ai giorni nostri attraverso vicende affascinanti trascorse in oltre due millenni di vita.Enrico Valdiserra.