S. ANTONIO da PADOVA  ( predicatore  – festeggiato  il 13 giugno).

Nato a Lisbona, 1195 ; morto presso Padova, 1231; canonizzato 1232.

 

      Fino all’età di venticinque anni fu canonico regolare nel suo nativo Portogallo, compiendo gli studi religiosi a Coimbra. Infiammato dal desiderio di diventare un missionario e magari un martire, entrò nell’ordine dei frati Francescani  e fu mandato a lavorare tra i musulmani in Marocco, ma la salute lo tradì e dovette ritornare in Europa dove passò un certo tempo in eremitaggio presso Forlì. Presto divenne chiaro che aveva un rarissimo talento per la predicazione e lui lo esercitò in pieno per nove anni, oltre ad occupare diversi posti d’insegnamento e altre cariche del suo ordine in Italia e Francia. Aveva una straordinaria conoscenza della Bibbia e i suoi sermoni impressionavano l’uomo istruito non meno di quello semplice, sia che stesse parlando in difesa del giusto modo di vivere sia che attaccasse la falsa dottrina. Fu sepolto a Padova, dove la sua tomba diventata un luogo di pellegrinaggio e molti miracoli sono stati attribuiti alla sua intercessione.

     Le statue di S. Antonio che si vedono tanto spesso che lo raffigurano come un giovane dall’aria piuttosto dolce con il Bambin Gesù in braccio e un giglio in mano, non gli rendono giustizia; egli fu forte ed intrepido, spietato verso chi opprimeva gente indifesa e verso il clero corrotto e al tempo in cui viveva fu chiamato “ martello degli eretici “. Sono sopravvissuti i testi di molti dei suoi sermoni e a causa di questi e della sua reputazione come studioso biblico la Chiesa cattolica romana lo annovera fra i dottori.

 

S. ATANASIO ( vescovo e dottore della Chiesa  – festeggiato  il 2 maggio).

Nato ad Alessandria, ca.296; morto nella stessa città, 373.

 

     Quando era diacono, Atanasio accompagnò il suo Vescovo al primo Concilio di Nicea (325) in cui fu condannata l’eresia ariana e tre anni dopo fu eletto lui stesso alla sede di Alessandria. Diresse questa Chiesa per quarantasei anni, passandone più di diciassette in esilio a causa della sua vigorosa opposizione al diffondersi dell’arianesimo, che ebbe l’appoggio di alcuni imperatori. Dapprima, nel 335, fu esiliato a Treviri, poi nel 337 ebbe il permesso di tornare, solo per venir esiliato di nuovo due anni dopo. Questa volta andò a Roma e restò lontano dalla sua sede per sette anni. Gli anni fra il 346 e il 356 furono relativamente il suo periodo di maggior tranquillità e alcune delle sue opere più importanti furono scritte allora, ma l’imperatore Costanzo era deciso a farlo deporre e furono mandati dei soldati ad arrestarlo. Atanasio andò a nascondersi nel deserto e di là diresse il suo gregge fino alla morte di Costanzo nel 361.

Vi furono altri due brevi periodi di esilio e poi, dal 366, Atanasio potè governare la sua Chiesa in pace fino alla morte. Si dedicò alla riparazione dei danni prodotti da tutti gli anni di discordie e violenza e potè tornare indisturbato ai suoi scritti e alla sua predicazione.

Sant’Atanasio era un uomo piccolo di statura fisica, ma dallo spirito torreggiante. John Henry Newman dichiarò che nei conflitti che seguirono al concilio di Nicea i laici furono saldi campioni dell’ortodossia cristiana e i vescovi no. Ci furono, naturalmente, delle eccezioni da entrambe le parti e fra di esse spicca Atanasio; fu sempre Newman che scrisse di lui: “ Quell’uomo straordinario… uno dei principali strumenti, dopo gli Apostoli, attraverso i quali le sacre verità del cristianesimo sono state tramandate e assicurate al mondo”.

Oltre ai suoi trattati esegetici e ai suoi scritti polemici contro gli ariani, Atanasio scrisse diverse opere di grande valore storico, inclusa la Vita di Sant’Antonio, e dei commentari alla Scrittura, particolarmente ai Salmi; esistono ancora alcune delle sue lettere, ma non fu lui l’autore del cosiddetto “Simbolo” che porta il suo nome. Un monaco dell’VIII secolo scrisse: “Se trovi un libro di Atanasio e non hai carta su cui ricopiarlo, scrivi sulla tua camicia”. Sant’Atanasio è uno dei quattro grandi dottori greci della Chiesa insieme a Basilio il Grande, Giovanni Crisostomo e Gregorio di Nazianzo.

 

S. BENEDETTO ( patriarca dei monaci occidentali – festeggiato l’11 luglio)

Nato a Norcia, ca. 480; morto a Montecassino, ca. 547).

 

Pochi particolari si conoscono della vita di quest’uomo la cui regola monastica e i monaci che la seguirono, hanno avuto tanta influenza nel mondo occidentale; le poche informazioni che abbiamo provengono dai Dialoghi di san Gregorio Magno, che dà eccessivo spazio alla descrizione del santo come operatore di miracoli. Benedetto fu mandato a fare i suoi studi a Roma, ma la vita irrequieta e dissoluta della città lo spinse a rifugiarsi in luoghi selvaggi e a circa vent’anni egli si fece eremita a Subiaco.

Lasciò quel luogo quando una comunità di monaci gli chiese di diventare il suo abate, ma poi alcuni di essi furono contrariati dalla rigorosa disciplina che esigeva e si dice che tentarono di avvelenarlo. Tornato a Subiaco, organizzò gradualmente dodici piccole comunità in vari luoghi e intorno al 529 fondò il monastero di Montecassino, che diresse lui stesso. Non vi sono prove che sia mai stato ordinato prete e in verità solo pochi monaci lo furono fino a tempi molto posteriori. Fu  a Montecassino che Benedetto compose la sua regola monastica per la quale si servì di “regole” precedenti, in particolare di quelle di san Giovanni Cassiano e di san Basilio.

La sua fama si diffuse rapidamente e verso la fine della sua vita ricevette persino la visita del re goto Totila. Ne ricevette anche una di un altro genere una notte in cui, mentre pregava in piedi davanti alla sua finestra, “il mondo intero sembrò venir raccolto in un raggio di sole e portato così davanti ai suoi occhi”. Quando fu vicino alla morte san Benedetto fu portato nella cappella dove ricevette la comunione e morì stando in piedi sostenuto dai suoi discepoli; fu seppellito nella stessa tomba di sua sorella, santa Scolastica. Una chiara idea di che tipo d’uomo fosse si può ricavare dal testo della sua santa Regola: semplice, calmo e retto, un uomo di pace e di moderazione, un padre amoroso che combinava l’insistenza sulla buona disciplina con il rispetto per la personalità umana e le capacità individuali, interamente pratico.

Chiamò la sua regola una regola per principianti, una “scuola del servizio del Signore, in cui speriamo di non ordinare nulla di duro o di rigoroso”. Questo semplice e profondo documento era destinato a giocare un ruolo considerevole nella storia d’Europa e oggi, in numerosi monasteri maschili e femminili di tutto il mondo, Benedetto “è morto, eppure parla”.

Papa Paolo VI lo ha dichiarato patrono d’Europa. I suoi emblemi sono una coppa rotta e un corvo.

 

S. BONAVENTURA ( vescovo e teologo – festeggiato l’11 luglio)

Nato a Bagnoregio, 1221; morto a Lione, 1274; canonizzato 1482.

 

Questo santo lasciò l’Italia per studiare all’università di Parigi, dove uno dei suoi maestri fu Alessandro di Hales, che seguì nell’ordine francescano. Lui stesso insegnò e predicò a Parigi per molti anni, concentrandosi sulla soluzione di alcuni dei problemi che a quei tempi esercitavano maggiormente le menti degli uomini. Insieme a san Tommaso d’Aquino difese i frati mendicanti contro i loro avversari  e nel 1257 fu scelto come ministro generale dei francescani.

Esercitò quest’ufficio con tale successo da esser considerato il più grande dei frati minori dopo lo stesso san Francesco d’Assisi e, per così dire, un secondo fondatore dell’ordine.

Nel 1265 rifiutò l’arcivescovado di York, ma otto anni dopo fu nominato cardinale vescovo di Albano, in tempo per svolgere un ruolo di rilievo nel secondo concilio di Lione dove i greci furono temporaneamente riconciliati con i latini. Bonaventura morì durante il concilio e fu sepolto a Lione.

San Bonaventura fu un uomo di altissima erudizione intellettuale, ma soleva mettere in risalto che l’amore e la conoscenza di Dio di uno sciocco possono essere più grandi di quelli di un uomo umanamente saggio.

La sua semplicità personale può essere esemplificata dalla storia che quando gli portarono il cappello da cardinale egli disse ai legali di appenderlo a un albero vicino, perché stava lavando i piatti e le sue mani erano bagnate e unte. Lasciò molte importanti opere di filosofia, teologia e misticismo, che hanno avuto un’enorme influenza. Conosciuto come il Doctor Seraphicus nel 1588 papa Sisto V lo dichiarò dottore della Chiesa. Il suo emblema è un cappello da cardinale.

 

S. CAMILLO DE LELLIS (fondatore – festeggiato il 14 luglio)

Nato negli Abruzzi, 1550; morto a Roma, 1614; canonizzato 1746.

 

Dai diciassette ai venticinque anni Camillo de Lellis fu un soldato di ventura. Fisicamente era un uomo molto grosso, di temperamento impetuoso e così dedito al gioco che alla fine perse tutto e dovette mettersi a lavorare come manovale in una fabbrica. Nel 1575 un sermone produsse un grande cambiamento in lui; tentò due volte di entrare nell’ordine francescano, ma dovette rinunciarvi a causa di un male a una gamba che lo tormentò per tutta la vita. Le sue sofferenze personali attirarono la sua attenzione su quelle degli altri ed egli offrì i suoi servigi all’ospedale romano di San Giacomo, di cui alla fine divenne economo.

Quest’esperienza gli aprì gli occhi sullo stato spaventoso degli ospedali e sulle enormi inadeguatezze e spesso brutalità del loro personale. Su consiglio di san Filippo Neri fu ordinato prete nel 1584; aveva già cominciato a organizzare una congregazione di preti e di fratelli laici, i Ministri degli Infermi, che dovevano assistere gli ammalati sia negli ospedali che a domicilio. Prima della fine del secolo san Camillo aveva aperto altre case e ospedali a Napoli e altrove e mandò la prima unità ospedaliera mobile di cui si abbia notizia ad assistere i soldati sul campo di battaglia. Insistette su innovazioni quali finestre aperte, diete appropriate e isolamento dei casi contagiosi; i suoi preti erano sempre a portata di mano per assistere i moribondi e l’esperienza gli aveva insegnato la necessità di prendere particolari precauzioni perché i pazienti non venissero sepolti mentre erano ancora vivi. La sua salute peggiorava sempre di più, con una complicazione e  varie disfunzioni e nel 1607 egli rinunciò alla direzione del suo ordine ma continuò a visitare personalmente i suoi ospedali e a servire i pazienti fin quasi al giorno della sua morte. San Camillo de Lellis è il santo patrono degli infermieri e dei malati.

 

S. CECILIA ( martire – festeggiata il 22 novembre)

Date sconosciute.

 

In qualche data incerta una matrona di nome Cecilia fondò una chiesa nel quartiere di Trastevere a Roma; alla sua morte il suo corpo fu sepolto in un posto d’onore nel cimitero di San Callisto. Non si sa nient’altro di lei, ma nell’anno 545 veniva chiamata Santa Cecilia e onorata come martire ed era stata scritta una Passione di santa Cecilia. Secondo questo documento ella era una ragazza cristiana di rango patrizio che era stata promessa a un giovane pagano, Valeriano. Nel giorno delle nozze lei lo informò che aveva consacrato la sua verginità a Dio e lo convinse a rispettare questo voto e a farsi battezzare; anche il fratello di Valeriano, Tiburzio, si fece cristiano. Infine i due fratelli furono arrestati e messi a morte come cristiani ostinati insieme a un uomo chiamato Massimo. Poi Cecilia fu portata davanti al prefetto e avendo rifiutato di compiere un atto di idolatria, fu condannata a essere uccisa per soffocamento nel bagno della sua casa. Il vapore e il calore non riuscirono  a ucciderla e così fu mandato un soldato a decapitarla; questi sferrò tre colpi inefficaci e lei fu lasciata ad agonizzare per tre giorni prima di morire. Dopo di ciò la sua casa fu trasformata in chiesa. Valeriano, Tiburzio e Massimo sono personaggi storici: erano martiri romani che furono sepolti nel cimitero di Protestato, ma non si sa null’altro di loro.

La storia così com’è delineata qui sopra può essere considerata un’invenzione, ma solo in tempi recenti gli studiosi sono stati in grado di farvi luce; dal VI secolo in avanti santa Cecilia, vergine e martire, è stata molto onorata dai cristiani d’Occidente. Dal XVI secolo è considerata la patrona dei musicisti: la Passione narra che, mentre i suonatori facevano musica durante il suo matrimonio, ella cantava a Dio “nel suo cuore” e da questo può essere nata l’idea; spesso si vede un organo come suo emblema.

 

S. FILIPPO NERI (riformatore e fondatore – festeggiato il 26 maggio).

Nato a Firenze, 1515; morto a Roma, 1595; canonizzato 1622.

 

L’uomo che sarebbe stato chiamato “l’Apostolo della città di Roma” era figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell’attività di suo padre; ma aveva subìto l’influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all’età di diciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani. Sopra la chiesa fu costruito un oratorio in cui tenevano conferenze religiose e discussioni e si organizzavano iniziative per il soccorso dei malati e dei bisognosi; là, inoltre, furono celebrate per la prima volta funzioni consistenti in composizioni musicali su temi biblici e religiosi cantate da solisti e da un coro (da qui il nome “oratorio”). San Filippo era assistito da altri giovani chierici e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell’Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria “in Vallicella”. Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.

Ma san Filippo non sfuggì alle critiche e all’opposizione: alcuni furono scandalizzati dall’anticonvenzionalità dei suoi discorsi, delle sue azioni e dei suoi metodi missionari. Egli cercava di restituire salute e vigore alla vita dei cristiani di Roma in modo tranquillo, agendo dall’interno; non aveva una mentalità clericale e pensava che il sentiero della perfezione fosse aperto tanto ai laici quanto al clero, ai monaci e alle monache. Nelle sue prediche insisteva più sull’amore e sull’integrità spirituale che sulle austerità fisiche e le virtù che risplendevano in lui venivano trasmesse agli altri: amore per Dio e per l’uomo, umiltà e senso delle proporzioni, gentilezza e gaiezza, “riso” è una parola che compare spesso quando si tratta di san Filippo Neri.

 

S. FRANCESCO BORGIA (gesuita – festeggiato il 10 ottobre).

Nato a Gandia, 1510; morto a Roma, 1572; canonizzato 1671.

 

Il nome Borgia (borja) ha comprensibilmente un cattivo suono; questo Francesco fu in primo piano fra coloro che gli fecero onore. Era un pronipote dell’uomo che divenne papa Alessandro VI di infelice memoria e suo padre era duca di Gandia nella provincia spagnola di Valenza. Francesco sposò Eleonora de

Castro, da cui ebbe otto figli e nel 1539 fu nominato viceré imperiale in Catalogna: si dimostrò un governatore modello, ma non era accettabile per tutti a causa dei suoi decisi sforzi per eliminare la corrotta amministrazione della giustizia da parte della nobiltà e dei magistrati.

Sua moglie morì nel 1546 e l’anno dopo egli fu ricevuto privatamente nella Compagnia di Gesù; dopo aver trasferito i suoi titoli e le sue terre al figlio maggiore e provveduto agli altri, fu ordinato prete nel 1551. Fece tutto quello che poteva per far dimenticare agli uomini le sue elevate origini, ma le sue capacità non potevano venir tenute nascoste; predicò con successo in Spagna e in Portogallo e nel 1554 sant’Ignazio di Loyola lo nominò commissario in quei paesi. In questa veste Francesco rese popolare la Compagnia di Gesù, allora poco conosciuta, fondando numerose case e collegi e attirando molti buoni novizi.

Nel 1561 Francesco Borgia fu chiamato a Roma e quattro anni più tardi fu nominato padre generale dei gesuiti. Sotto il suo breve governo l’ordine fece grandi progressi; in effetti egli è stato chiamato il suo secondo fondatore. Si preoccupò particolarmente dello sviluppo del Collegio Romano (ora Università Gregoriana), che aveva già parzialmente dotato. Nel 1571 il papa san Pio V scelse san Francesco per accompagnare una missione in diverse capitali europee; la sua fama lo aveva preceduto e le folle accorrevano gridando: “Vogliamo vedere il santo!” e chiedendo a gran voce che predicasse. Ma la grande fatica comportata da quel viaggio aggravò il cattivo stato di salute di Francesco ed egli morì pochi giorni dopo essere tornato a Roma.

Nei suoi ultimi istanti, mentre suo fratello Tommaso ripeteva i loro nomi, Francesco pronunciò una benedizione su ognuno dei suoi figli e nipoti. Era il tipo classico del santo patrizio, riservato, determinato, intraprendente, capace di conquistare gente di ogni rango con la sua gentilezza e cortesia.

 

S. FRANCESCO SAVERIO (missionario – festeggiato il 3 dicembre).

Nato a Pamplona, 1506; morto a Sancian, 1552; canonizzato 1622.

 

Il grande pioniere delle missioni nelle Indie Orientali e in Giappone apparteneva a una buona famiglia basca della Navarra spagnola. Mentre studiava all’università di Parigi subì l’influenza di sant’Ignazio di Loyola e fu uno dei primi sette gesuiti che si consacrarono a Dio a Montmartre nel 1534. Nel 1541 fu inviato con due compagni nell’India portoghese; dopo un viaggio durato tredici mesi essi sbarcarono a Goa e nei sette anni successivi Saverio lavorò in quella città, tra i pescatori di perle di Parava nell’estremo sud dell’India, a Ceylon, nella penisola malese e nelle isole Molucche, visitando ogni tanto il quartier generale di Goa. Le sofferenze dei nativi, sia quelle che si infliggevano fra di loro che quelle provocate dai portoghesi, producevano, disse, “una ferita permanente nella mia anima”.

L’oppressivo sfruttamento da parte degli europei e la vita dissoluta di tanti di essi erano due dei principali ostacoli al lavoro dei missionari, cosa di cui Saverio parlò molto francamente nelle sue lettere al re del Portogallo. Il numero di persone che battezzò è stato talvolta molto esagerato, come pure i miracoli a lui attribuiti, ma effettivamente egli ottenne numerose conversioni fra il popolo di casta inferiore, anche se non ebbe né comprensione né simpatia per le religioni indiane e non ottenne alcun successo tra i bramini.

San Francesco lasciò la Malacca per il Giappone nel 1549. Dopo aver imparato un po’ di lingua giapponese a Kagochima si diresse con i suoi compagni (tre dei quali erano cristiani giapponesi) a Kyoto e a Yamaguchi dove, come rappresentante del re del Portogallo, ricevette una buona accoglienza ed ebbe la libertà di insegnare.

Passò due anni in Giappone; poi affidò i suoi convertiti alle cure di un prete portoghese e tornò a visitare la sua missione indiana. Nel 1552, partì per la Cina, un paese che a quel tempo era chiuso agli stranieri. Una nave portoghese lo sbarcò sull’isola di Sancian, vicino alla foce del fiume Chu-Kiang; mentre aspettava una giunca cinese, il cui capitano aveva accettato di farlo scendere segretamente sul continente, si ammalò e dopo due settimane morì in una capanna, senz’altra compagnia che quella di un giovane cristiano cinese che lo aveva accompagnato da Goa. Aveva solo quarantasei anni. Il suo corpo fu riportato a Goa, dove è ancora conservato. Una delle fonti primarie per la vita di san Francesco Saverio è costituita dalle sue lettere, molte delle quali sono state preservate; alcune sono molto lunghe e dettagliate. Esse danno un vivo quadro del loro autore e delle condizioni in cui lavorò in modo così modesto e disinteressato.

Francesco Saverio è santo patrono dei missionari cattolici romani nei paesi stranieri.

 

S. GIOVANNI DI DIO (fondatore – festeggiato l’8 marzo)

Nato in Portogallo, 1495; morto a Granata, 1550; canonizzato 1690.

 

All’età di circa quarant’anni, dopo aver condotto una vita sregolata come soldato e come servo in una fattoria spagnola, questo Giovanni si pentì della sua condotta; ma la sua conversione fu manifestata in forme così estreme che per un po’ di tempo venne rinchiuso in un ospedale come pazzo. Nel 1539 decise di dedicarsi ai malati e ai poveri, guadagnandosi intanto da vivere come mercante di lana. Con l’aiuto dell’arcivescovo di Granata prese in affitto una casa e per dieci anni diede alloggio ai bisognosi e si prese cura di loro, senza escludere vagabondi e prostitute; talvolta fu criticato per aver dato aiuto a questi ultimi. Ma aveva l’appoggio di persone più illuminate e divenne molto rispettato a Granata per il suo carattere modesto e la dedizione con cui lavorava. Fu solo dopo la sua morte che i suoi seguaci vennero organizzati in un ordine di ospitalieri., i Fratelli di San Giovanni di Dio, la cui opera si è diffusa ovunque. E’ santo patrono degli infermieri e degli ammalati.

 

S. NORBERTO (vescovo e fondatore – festeggiato il 6 giugno).

Nato a Xanten. 1080; morto a Magdeburgo, 1134; canonizzato 1582.

 

San Norberto proveniva da una nobile famiglia della Renania e fino ai trentacinque anni circa condusse la vita di un cortigiano in corti principesche, benché fosse un chierico degli ordini minori detentore di diversi benefici.

Poi, essendo sfuggito per poco alla morte, si convertì improvvisamente e fu ordinato prete, ma l’entusiasmo del suo nuovo spirito riformatore esasperò alcuni ecclesiastici di Xanten che nel 1118 lo denunciarono come un predicatore non autorizzato e un ipocrita. Allora egli rinunciò ai suoi beni in favore dei poveri e andò da papa Gelasio II, che a quel tempo si trovava in Linguadoca: il Papa gli diede libertà di predicare ovunque gli piacesse, cosa che lui fece con molta efficacia nella Francia settentrionale.

A Valenciennes incontrò il giovane prete Ugo di Fosses e nel 1120 i due diedero vita a una comunità di canonici regolari nella valle di Prèmontrè presso Laon; iniziata in modo molto modesto, essa divenne rapidamente un ordine, quello dei Canonici Premonstratensi, con altre abbazie e priorati.

Intanto san Norberto continuava, quando ce n’era bisogno, la sua predicazione itinerante in Francia e Germania e nel 1126 fu scelto come arcivescovo di Magdeburgo.

La diocesi era in cattivo stato e Norberto ne assunse la direzione con il suo abituale vigore. Incontrò molta opposizione, specialmente da parte del laicato quando intraprese il recupero dei beni della Chiesa alienati irregolarmente; più di una volta si attentò alla sua vita.

Nel 1130 usò tutta la sua influenza per sostenere la causa di papa Innocenzo II nella lotta contro l’antipapa Pierleoni e poco prima della sua morte fu nominato cancelliere per l’Italia dall’imperatore Lotario II. Pur essendo vissuto appena vent’anni dopo la conversione, san Norberto lasciò un’impronta sulla sua epoca, specialmente attraverso la fondazione dei canonici regolari premonstratensi, il cui modo di vivere era una via di mezzo fra quello dei monaci e quello dei frati del secolo successivo.

Nel 1627 le reliquie del vescovo furono traslate da Magdeburgo alla chiesa dell’abbazia del suo ordine a Strahov, presso Praga. Il suo emblema è un ostensorio.

 

S. PIETRO (capo degli Apostoli – festeggiato il 29 giugno).

Nato (?); morto a Roma, ca. 64.

 

Era un pescatore del Mar di Galilea, sposato e fratello di Sant’Andrea insieme al quale fu chiamato a seguire Cristo e a essere un “pescatore di uomini”. In origine era chiamato Simone, ma Gesù gli conferì il titolo aramaico di “Kephas” (Gv. 1,42), che significa “pietra”. Questo titolo fu spiegato quando, in risposta alla dichiarazione di Simone: “ Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”, il Signore gli disse: “ Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” e gli conferì “la chiave del Regno dei Cieli” ed il potere di “legare e sciogliere”, poi esteso anche agli Apostoli (Mt. 16,16-19; 18,18). Il Nuovo Testamento dà numerose prove della posizione unica di Pietro fra gli Apostoli e mette in evidenza l’ardente impetuosità del suo carattere e come all’inizio egli non avesse compreso la messianicità di Cristo. Poche ore dopo aver assicurato al suo Maestro: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”, di fatto egli negò tre volte di conoscerlo davanti ai servi del sommo sacerdote ebreo; ma dopo la resurrezione Pietro fu il primo degli Apostoli a cui Gesù apparve e in seguito il Signore risorto si fece dare da lui una triplice assicurazione del suo amore, al che gli ripetè quali erano le sue responsabilità: “Pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecorelle” (Gv. 21, 15-19).

San Pietro fece ciò valorosamente e fedelmente, come si può vedere dagli Atti degli Apostoli. Fu lui il capo della comunità cristiana; lui ordinò che venisse occupato il posto lasciato vacante fra gli Apostoli da Giuda Iscariota; lui arringò la folla nel giorno della Pentecoste; lui compì miracoli in nome di Cristo, la sua stessa ombra risanava i malati (At. 5,15); lui emise la sentenza su Anania e Saffire; per due volte rifiutò di essere ridotto al silenzio dal sinedrio ebraico, ammise al battesimo il primo gentile, Cornelio, fu imprigionato da Erode Agrippa e fuggì grazie a un intervento divino; fece visite missionarie e pastorali alla Samaria, ad Antiochia (secondo la tradizione fu il primo vescovo della città) e ad altri luoghi.

Ad Antiochia fu rimproverato da san Paolo per aver temporeggiato sulla questione se era lecito mangiare insieme ai gentili (Gal. 2, 11-21); in seguito parlò energicamente contro l’imposizione a essi dell’obbligo della circoncisione: anche a loro, disse, è stato concesso lo Spirito Santo e i loro cuori sono purificati dalla fede (At. 15,7-11).

La tradizione, secolare ma non esplicitamente riferita nel Nuovo Testamento, secondo cui san Pietro andò infine a Roma e vi fu messo a morte è stata messa in dubbio, di tanto in tanto, nelle epoche successive; ma le ricerche degli studiosi moderni hanno molto contribuito a confermarla. Che Pietro sia stato martirizzato sotto Nerone è indiscusso; si dice che fu crocifisso a testa in giù (su sua richiesta), ma questo è molto incerto.

Sempre la tradizione indica come suo sepolcro il punto su cui sorge l’altare della basilica vaticana; i risultati di scavi eseguiti recentemente in quel luogo sono impressionanti e di grande interesse, ma non del tutto conclusivi su questo punto.

Non sembrano esservi ragioni per dubitare che Pietro sia l’autore della prima epistola del Nuovo Testamento che porta il suo nome, ma la paternità della seconda è stata messa in dubbio da alcuni studiosi.

Tutti sono d’accordo che il Vangelo di Marco riporta l’insegnamento di Pietro. Altre antiche opere che sarebbero state scritte da o su di lui sono apocrife; una di esse, gli Atti di Pietro, è la fonte della storia secondo cui il santo, fuggendo dalla persecuzione scoppiata a Roma, incontrò Cristo sulla strada e gli chiese: “Signore, dove vai?” (“Quo vadis Domine?”). Cristo rispose: “Vengo a farmi crocifiggere di nuovo”, al che Pietro tornò indietro per incontrare il suo martirio. Nell’arte san Pietro è simboleggiato da due chiavi incrociate.

 

S. PAOLO (apostolo dei gentili – festeggiato il 29 giugno)

Nato a Tarso in Cilicia; morto a Roma, ca. 67.

 

Fino al momento della sua conversione a Cristo, Paolo fu conosciuto con il nome di Saulo. Ereditò la cittadinanza romana dal padre ebreo (At 22,28), che lo allevò come uno stretto fariseo (ibid. 26,5); studiò la sua religione sotto il celebre rabbino Gamaliel, a Gerusalemme (ibid. 22,3) e imparò il mestiere di fabbricante di tende (ibid. 18,1-3). Da giovane fu presente alla lapidazione di Stefano e la approvò; più tardi “infuriò contro la Chiesa” (ibid. 18,3), ricercando i cristiani e consegnandoli alla prigione e perfino alla morte.

Poi, mentre si recava a Damasco per proseguirvi la persecuzione, ebbe un’improvvisa visione in cui Gesù Cristo lo rimproverava e gli diceva che era destinato a portare la fede cristiana ai gentili, cioè ai non ebrei. Paolo fu quindi battezzato e si ritirò per un certo tempo in Arabia; poi tornò a Damasco, ma dopo tre anni i suoi nemici ebrei divennero così pericolosi che egli dovette fuggire di notte facendosi calare giù dalle mura della città dentro una cesta. Di là andò a Gerusalemme “a vedere Pietro”, a cui più tardi “si oppose a viso aperto” a causa dell’atteggiamento incerto dell’apostolo nella controversia sui gentili convertiti e sulle pratiche ebraiche.

Ciò accadde ad Antiochia, la metropoli d’Oriente, dove Paolo era stato chiamato per aiutare san Barnaba nella sua opera di evangelizzazione; fu l’inizio della grande missione presso i gentili. I loro convertiti raccolsero un fondo per il soccorso della comunità cristiana di Gerusalemme, dove infuriava la carestia e Paolo e Barnaba furono incaricati di portarlo a destinazione.

Nell’anno 45 ca. san Paolo iniziò il primo dei suoi tre principali viaggi missionari, partendo per Cipro e vagando poi per l’Asia Minore, la Siria, la Macedonia e la Grecia; in ogni città predicava nella sinagoga ebraica prima di rivolgersi ai pagani. Dopo una dozzina d’anni andò a Gerusalemme, dove la sua presenza provocò tali disordini che egli fu imprigionato dal governatore romano; dopo due anni si appellò alla corte imperiale e fu mandato a Roma, naufragando durante il viaggio presso Malta (ibid. 21-28).

A Roma rimase agli arresti domiciliari per altri due anni e non si sa con certezza quali siano stati i suoi movimenti successivi. Potrebbe essere stato condannato nel processo e giustiziato, oppure potrebbe essere stato rilasciato, perché in alcune fonti vi sono indizi che visitò nuovamente Efeso e altri luoghi e forse andò perfino in Spagna: là sarebbe stato arrestato di nuovo, portato un’altra volta a Roma e messo a morte. In ogni caso la tradizione è che fu decapitato nel luogo ora chiamato le Tre Fontane e il suo corpo fu sepolto nel punto in cui sorge la chiesa di San Paolo fuori le mura (la credenza che Pietro e Paolo siano stati martirizzati nello stesso giorno è dovuta probabilmente al fatto che vengono festeggiati entrambi il 29 giugno).

Fino al suo primo arrivo a Roma la vita di san Paolo è narrata in modo notevolmente dettagliato negli Atti degli Apostoli e qualche altro fatto si può trovare in quelle sue numerose lettere che costituiscono una parte così preziosa del Nuovo Testamento (la paternità di alcune di esse, particolarmente di quella agli Ebrei, è stata messa in dubbio). In un famoso brano lui stesso ha messo in risalto le condizioni esteriori della sua vita di missionario cristiano: “ Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e  sete, frequenti digiuni, freddo e nudità” (2 Cor. 11, 26-27); soffrì questo e altro a causa della fedeltà alla sua cura quotidiana, “la preoccupazione per tutte le Chiese”. Un documento del II secolo dipinge Paolo come un uomo dalla presenza fisica non molto impressionante (“piccolo, calvo, dalle gambe storte” ecc.; cfr. 2 Cor. 10,10); gli Atti e le Epistole testimoniano dell’elevatezza della sua statura spirituale e delle qualità eccellenti della sua mente, perché egli fu molto di più di un instancabile ed efficace missionario: come pensatore religioso ha avuto, attraverso le sue lettere, una profonda e durevole influenza sulla formazione e sullo sviluppo del cristianesimo e la sua grandezza di mente e di spirito diventa solo più evidente con il trascorrere dei secoli. I simboli di san Paolo nell’arte sono una spada e un libro.

 

S. ROMUALDO ( abate – festeggiato il 19 giugno).

Nato a Ravenna, ca. 950; morto a Valdicastro nel Piceno, 1027; canonizzato 1595.

 

Si dice che san Romualdo sia “fuggito dal mondo” per l’orrore quando suo padre uccise un parente in una lite per questioni di proprietà.

Divenne una figura importante fra quei monaci dell’XI secolo che cercavano di riformare il monachesimo contemporaneo portandolo a una maggiore solitudine; alla fine lasciò il monastero cluniacense di San Miniato e per molti anni andò di luogo in luogo predicando i valori  della vita eremitica e fondando eremi e comunità.

Le sue due fondazioni più importanti furono quelle degli eremiti di Fonte Avellana negli Appennini e del monastero semi-eremitico di Camaldoli, presso Arezzo. San Romualdo ebbe una considerevole influenza nel suo tempo e dopo la sua morte Camaldoli divenne il centro di un gruppo organizzato di case; questi monaci-eremiti esistono ancora come un piccolo ordine indipendente di benedettini. San Pier Damiani fu un discepolo di san Romualdo e scrisse una sua biografia

 

S. UBALDO (vescovo – festeggiato il 16 maggio).

Nato a Gubbio (Umbria); morto nella stessa città, 1160; canonizzato 1192.

 

Mentre era decano della cattedrale della sua città natale, Ubaldo Baldassini convinse i canonici del suo capitolo a condurre vita comune secondo la regola data da Pietro degli Onesti alla sua comunità di Ravenna. Egli personalmente voleva essere un eremita, ma gli fu consigliato di scegliere un’altra strada e dovette accettare il vescovado di Gubbio; fu vescovo ammirevole, famoso per la sua pazienza e la sua tolleranza, e il suo santuario è ancora un luogo di pellegrinaggio.

 

S. VINCENZO DE’ PAOLI (fondatore – festeggiato il 27 settembre).

Nato a Guascogna, ca. 1580; morto a Parigi, 1660; canonizzato 1737.

 

Era figlio di un contadino di Poux nelle Lande e fu ordinato prete alla precoce età di vent’anni. Per dieci anni non mirò a nulla di più di un’agiata vita clericale, ma sotto l’influenza di Pietro di Brulle (poi cardinale) e di alcuni anni di ministero fra contadini negletti e forzati delle galere avvenne in lui un grande cambiamento. Vincenzo dedicò tutta la sua vita al servizio dei poveri: organizzò gruppi di laici che eseguissero opere di carità e nel 1625, a Parigi, fondò la Congregazione della Missione (Vincenziani o Lazzaristi), una società di preti destinati al lavoro missionario, specialmente nelle zone rurali e alla formazione del clero. Nel 1633, insieme a santa Luisa di Marillac fondò le Figlie (o Suore) della Carità; ora vi sono membri di questa congregazione in ogni parte del mondo.

Le fondazioni di san Vincenzo de’ Paoli furono fatte in risposta alle necessità che egli vedeva: non vi era sofferenza umana che non cercasse di alleviare e per aiutare le persone carenti di istruzione religiosa usò gli stessi metodi arditi e saggi che usava per provvedere ai bisogni materiali degli schiavi sulle galere, dei nobili decaduti o dei bambini abbandonati.

Si accostava a ogni impresa con la stessa umiltà e la stessa semplice fiducia nella Provvidenza e la sua sincera bontà e generosità stimolava negli altri un analogo comportamento; ebbe molti aiutanti e seguaci, benché fosse collerico di natura e privo di attrattive esteriori. Tutto quello che faceva era caratterizzato dalla sensibilità per i sentimenti degli altri: essa risalta chiaramente nelle istruzioni che diede ai suoi missionari sul modo di comportarsi con i protestanti, che andavano trattati come fratelli, con rispetto e amore, senza sdegnazione, condiscendenza o aggressività. Oggi il nome di san  Vincenzo de’ Paoli è famoso, oltre che attraverso i Padri Vincenziani e le Suore della Carità, anche attraverso la società caritativa di laici fondata a Parigi nel 1833 da Frédèric Ozanam.

 

BEATA PERPETUA DA BUTI (conversa domenicana).

Nata a Buti (?); morta a Pisa 1436.

 

Nacque nel castello di Buti da genitori poveri di beni terreni ma ricchi di timor di Dio. Giunta ad età competente volle chiudersi nei recinti di un chiostro e mentre un giorno intensamente pregava ebbe la visione del Patriarca san Domenico in atto di invitarla ad aggregarsi al suo istituto. I genitori allora la condussero a Pisa nel monastero domenicano di santa Marta fondato dal padre domenicano Domenico Cavalca dove fu accolta come Conversa. Dopo il periodo di noviziato fu ammessa con pieni voti alla professione monastica. Essa teneva continuamente la mente ed il cuore rivolti a Gesù Crocifisso tanto che appariva quasi che le sue facoltà mentali si fossero alterate. Per questo motivo reputata pazza ebbecontinuamente dalle sue consorelle derisioni, motteggi e disprezzi ai quali sempre corrispose con atti di umiltà. “ Un giorno, avendo ella fatto la Comunione con straordinario fervore se ne stava in coro davanti al crocifisso mentre tutte le altre monache erano andate a desinare. Nel meditare le pene atrocissime dell’appassionato Suo Bene concepì verso di lui un amore il più ardente; del quale amore crescendo a dismisura la fiamma, essa rimase soffocata e morì  per puro eccesso di carità”. Suonarono in quell’istante le campane di santa Marta. Le consorelle corsero al campanile per rimproverarla ma con sommo stupore videro che le campane suonavano senza che la forza umana muovesse le funi.Le monache trovarono il corpo di Perpetua ai piedi del crocifisso e udirono una voce che partì dallo stesso crocifisso che diceva: “Perpetua è meco in

paradiso”. Fu sepolta in un luogo distinto e nel tempo crescendo la venerazione verso di lei fu collocato il corpo sotto l’altare che le monache avevano nel loro coro. Qui riposarono le preziose reliquie fino al 1789 anno in cui fu soppresso il monastero. Dopo furono traslate nella chiesa di santa Marta e poste sotto l’altare

della cappella sulla destra di chi entra nella chiesa. Ogni anno si faceva una festa in suo onore la prima domenica di luglio. Esistono numerose immagini antiche e moderne che rappresentano Perpetua con gli emblemi della beatitudine. Parlano poi di lei come di beata gli scrittori pisani come il Cardosi e il Solvetti. Nel 1857 il cardinale arcivescovo Corsi (o Mons. Ranieri Alliata?) fece preparare una nuova urna perché la precedente era rovinata e in quell’occasione una piccola reliquia della Beata fu donata in una teca d’argento alla pieve di Buti. Nel 1993 fu poi traslata l’urla con tutte le ossa della Beata nella chiesa Pievania di Buti.  Nell’ottobre del 1999 a seguito di un furto di numerose reliquie fu rubata anche la prima piccola reliquia donata dall’arcivescovo .

 

 

S. ANTONIO  ABATE (eremita – festeggiato il 17 gennaio).

Nato a Menfi, (o a Coma) ca 251; morto a Monte Coltzum, 356).

 

Sant’Antonio è considerato il fondatore del monachesimo nel senso tardo della parola, perché riunì gli eremiti in comunità, anche se abbastanza libere da

vincoli e regole, ed esercitò su di essi una certa autorità; ma lui personalmente passò la maggior parte della sua lunga vita in solitudine o quasi. All’età di circa vent’anni andò a vivere solo in varie località vicine al suo luogo di nascita nel basso Egitto, passando il suo tempo in preghiera, studio e nel lavoro materiale necessario per procurarsi da vivere. Subì violente tentazioni spirituali e fisiche, ma le superò;  in seguito un gran numero di discepoli si raccolse intorno a lui. Intorno al 312 si allontanò di più dal suo luogo natale e prese residenza in una grotta sul monte Coltzum, vicino all’estremità nord-occidentale del mar Rosso; rimase lì per tutto il resto della sua vita. Persone di tutti i generi andarono a cercarlo per chiedergli consiglio o semplicemente per curiosità e di tanto in tanto lui faceva visita ai suoi seguaci nei loro eremitaggi; verso la fine della sua vita andò ad Alessandria per incoraggiare l’opposizione all’arianesimo. Se la data tradizionale è giusta, aveva più di cent’anni quando morì. Si sa moltissimo di sant’Antonio perché è sopravvissuta una biografia scritta da S. Atanasio. I monaci del deserto erano non di rado caratterizzati da stravaganza e fanatismo; non così Antonio. Lui era notevolmente moderato per la sua epoca, uomo di grande saggezza spirituale la cui notevole austerità di vita era sempre consapevolmente finalizzata ad un miglior servizio di Dio. Sia durante la sua vita che  dopo la sua morte la sua influenza fu molto grande e la venerazione per lui, talvolta per ragioni puramente estrinseche, fu forte in tutta la cristianità sia antica che medioevale. I “Padri del deserto” di cui sant’Antonio è il classico rappresentante vivevano in luoghi più o meno remoti in casupole, grotte o edifici abbandonati, cercando Dio attraverso l’autodisciplina intellettuale e fisica in una vita di preghiera e di meditazione, di austerità e di lavoro manuale. Quest’ultimo elemento era dato dalla necessità di procurarsi un minimo indispensabile di cibo, indumenti e rifugio e da occupazioni come la fabbricazione di cesti e stuoie con foglie di palma. Molti scrittori e pittori hanno avuto la tendenza a insistere sugli eccessi della loro vita fatta di sfrenata automortificazione fine a se stessa, digiuno competitivo e “un’orgia di soprannaturale”, ma nella sua forma migliore essa era capace di produrre, e lo fece, carattere di integrità e saggezza impressionanti, una delle cui caratteristiche era la penetrante comprensione della psicologia umana e la capacità di esprimerla con parole efficaci. Gli emblemi di sant’Antonio nell’arte sono un maiale e una campanella. Secondo la leggenda la sua tomba sarebbe stata scoperta nel 565 e il suo corpo trasportato ad Alessandria e quindi a Costantinopoli, da dove le reliquie sarebbero passate in Francia, dapprima a Saint Didier e poi nel 1491 a Saint Julien presso Arles. Nel corso dei secoli alcune reliquie del santo sono state sparse in tutta l’Europa.

Nel Gennaio 1988, S.E. Alessandro Plotti Arcivescovo di Pisa ha fatto dono di una di esse alla parrocchia di Buti a testimonianza del culto secolare che il popolo di Buti tributa a S. Antonio Abate.

 

 

S. ROCCO (guaritore – festeggiato il 16 agosto). XIV secolo.

 

San Rocco sembra essere stato nativo di Montpellier in Linguadoca e avrebbe curato gli ammalati durante un’epidemia nell’Italia Settentrionale.

Resoconti leggendari su di lui dicono che era a Roma in pellegrinaggio quando scoppiò la peste e lui andò di luogo in luogo risanando le vittime con mezzi soprannaturali. Quando lui stesso si ammalò a Piacenza fu da prima soccorso da un cane. Si riprese e tornò a casa, ma i suoi parenti non lo riconobbero. Fu messo in prigione come un impostore e vi morì. Un altro resoconto dice che ciò accadde in Lombardia dove il santo fu scambiato per una spia. San Rocco viene ancora invocato contro le malattie fisiche in Francia e in Italia. Il suo nome è spesso scritto Roch. Nell’arte è spesso raffigurato accompagnato da un cane.

 

 

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Biografie di alcuni Santi delle Reliquie di Buti

Tratte dal libro di D.Attwater     ed.piemme

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S. ANTONIO  ABATE (eremita – festeggiato il 17 gennaio).

Nato a Menfi, (o a Coma) ca 251; morto a Monte Coltzum, 356).

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BEATA PERPETUA DA BUTI (conversa domenicana).

Nata a Buti (?); morta a Pisa 1436.

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S. ROCCO (guaritore – festeggiato il 16 agosto). XIV secolo.

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S. ANTONIO da PADOVA  ( predicatore  – festeggiato  il 13 giugno).

Nato a Lisbona, 1195 ; morto presso Padova, 1231; canonizzato 1232.

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S. ATANASIO ( vescovo e dottore della Chiesa  – festeggiato  il 2 maggio).

Nato ad Alessandria, ca.296; morto nella stessa città, 373.

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S. BENEDETTO ( patriarca dei monaci occidentali – festeggiato l’11 luglio)

Nato a Norcia, ca. 480; morto a Montecassino, ca. 547).

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S. BENIGNO ( martire – festeggiato il 1° novembre) II secolo.

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S. BONAVENTURA ( vescovo e teologo – festeggiato l’11 luglio)

Nato a Bagnoregio, 1221; morto a Lione, 1274; canonizzato 1482.

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S. CAMILLO DE LELLIS (fondatore – festeggiato il 14 luglio)

Nato negli Abruzzi, 1550; morto a Roma, 1614; canonizzato 1746.

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S. CECILIA ( martire – festeggiata il 22 novembre) Date sconosciute.

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S. FILIPPO NERI (riformatore e fondatore – festeggiato il 26 maggio).

Nato a Firenze, 1515; morto a Roma, 1595; canonizzato 1622.

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S. FRANCESCO BORGIA (gesuita – festeggiato il 10 ottobre).

Nato a Gandia, 1510; morto a Roma, 1572; canonizzato 1671.

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S. FRANCESCO SAVERIO (missionario – festeggiato il 3 dicembre).

Nato a Pamplona, 1506; morto a Sancian, 1552; canonizzato 1622.

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S. GIOVANNI DI DIO (fondatore – festeggiato l’8 marzo)

Nato in Portogallo, 1495; morto a Granata, 1550; canonizzato 1690.

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S. ILDEFONDO (vescovo – festeggiato il 23 gennaio).

Nato a Toledo, ca. 606; morto nella stessa città, 667.

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S. NORBERTO (vescovo e fondatore – festeggiato il 6 giugno).

Nato a Xanten. 1080; morto a Magdeburgo, 1134; canonizzato 1582.

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S. PAOLO (apostolo dei gentili – festeggiato il 29 giugno)

Nato a Tarso in Cilicia; morto a Roma, ca. 67.

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S. PIETRO (capo degli Apostoli – festeggiato il 29 giugno).

Nato (?); morto a Roma, ca. 64.

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S. ROMUALDO ( abate – festeggiato il 19 giugno).

Nato a Ravenna, ca. 950; morto a Valdicastro nel Piceno, 1027;  canonizzato 1595.

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S. UBALDO (vescovo – festeggiato il 16 maggio).

Nato a Gubbio (Umbria); morto nella stessa città, 1160; canonizzato 1192.

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S. VINCENZO DE’ PAOLI (fondatore – festeggiato il 27 settembre).

Nato a Guascogna, ca. 1580; morto a Parigi, 1660; canonizzato 1737.

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Mandibola di S.Antonio